Il Dialogo interreligioso via per vivere il Vangelo nel nuovo contesto interculturale
Marco Giovannoni, storico e insegnante dell’ISSR di Arezzo ci ha immediatamente catapultati dentro l’argomento: “parlare del dialogo interreligioso non è solo attuale, non è solo un problema della Chiesa, non è importante solo per parlare con chi è diverso, ma è indispensabile per imparare a vivere il Vangelo oggi, in un contesto plurireligioso. Se noi cristiani non ricomprendiamo il Vangelo in questo nuovo contesto, rischiamo di non capirlo più e di non farlo capire. È un’occasione di conversione”. Quindi non si tratta di una questione marginale, banale, non si tratta di fare uno sforzo per capire meglio chi sbarca sulle nostre rive e popola oggi le nostre città, ma riguarda noi, il nostro essere cristiani, il nostro essere uomini. “Il cuore è unico in ogni essere umano. C’è corrispondenza tra uomo e uomo e questo è un buon punto di partenza. All’inizio del dialogo sta questa prima evidenza”, così scriveva il nostro Vescovo Andrea sull’invito a partecipare a questa tre giorni. La prima giornata ci ha permesso di andare alle radici del dialogo interreligioso per conoscerne i presupposti teologici. Il professor Alfredo Jacopozzi dell’ISSR di Firenze ci ha invitato a prendere il dialogo sul serio: non è tatticismo, non è buonismo, né atteggiamento riservato ad anime belle, ma il dialogo vero è quello che ti permette di entrare in relazione con l’altro a più livelli: nella condivisione della vita (il dialogo del pianerottolo); nella collaborazione ad un progetto comune; nello studio che permette di approfondire e comprendersi e infine nella condivisione della fede, cioè nella ricerca comune di Dio. Questa modalità di dialogo esige però l’uscita da una identità monolitica, da una verità che si pensa di avere in tasca, da un dialogo concepito solo allo scopo di evangelizzare, dando per scontato che non abbiamo nulla da imparare sulla fede dalle altre culture religiose, insomma esige di sentirsi ancora in cammino e non fermi alla stazione Paradiso. Insieme al Prof. Jacopozzi abbiamo capito come la Chiesa è cresciuta sulla strada del dialogo, lo mostrano i documenti “Nostra Aetate” (1965), “Redemptoris Missio” (1981), “Dialogo e annuncio” (1991) dai quali emergono 4 aspetti del fondamento teologico del dialogo interreligioso: l’origine di tutta l’umanità in Dio (creazione); il compimento nel suo fine ultimo, che è sempre Dio (redenzione); l’azione dello Spirito, che opera anche oltre i confini visibili della Chiesa (trasformazione); l’universalità del Regno di Dio (comunione). Questo tipo di dialogo porta con sé frutti importanti: • l’integrità della fede, perché il dialogo richiede che si vada in profondità, si vada alle radici della propria fede e non la si metta tra parentesi; • l’apertura all’altro, come capacità di transitare nel suo mondo per attingere l’esperienza che l’altro vive; • l’apertura alla verità, come un processo senza fine, visto che la verità è una relazione personale. Con la seconda giornata siamo entrati nel vivo del dialogo con altri tre importanti relatori: Fabrizio Mandreoli, professore della Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, esperto in Ebraismo; Ambrogio Bongiovanni, della Pontificia Università Urbaniana, esperto dell’Islam e infine Maria De Giorgi, della Pontificia Università Gregoriana, che vive in Giappone, esperta di Buddismo o per meglio dire di Buddismi. Dopo una breve, ma intensa introduzione sui rapporti tra il cristianesimo e rispettivamente l’Ebraismo, l’Islam e il Buddismo, abbiamo approfondito le questioni in tre differenti gruppi, perché lo stile di questa scuola non era quello consueto, dove il professore trasferisce le conoscenze, o propone questioni sulle quali non c’è più nulla da dire, ma era lo stile della ricerca, dell’interrogarsi, del confronto delle idee, una modalità alla quale personalmente non sono molto abituata, ma che mi è sembrata veramente affascinante. Stanchi, ma desiderosi di capire e approfondire ancora di più, la terza giornata ci ha condotto all’apice della riflessione grazie alla filosofa, Professoressa Carla Canullo, docente dell’Università di Macerata, che con estrema chiarezza ci ha permesso di capire che è necessaria una svolta ermeneutica per poter davvero dialogare a cuore aperto e accogliente con le altre culture. Questo cambiamento necessita prima di tutto del riconoscimento che dietro ai sistemi identitari culturali ci sono delle persone. Noi non ci relazioniamo con una religione o una cultura, ma con degli uomini e delle donne che la incarnano. Questa premessa è già fondamento al dialogo, come ci testimoniava una delle monache, che è cresciuta in un contesto multi religioso, in un clima di stima e condivisione tanto da poter vivere insieme la gioia del Natale o del Battesimo di un bimbo accanto al Ramadan musulmano. L’identità religiosa di appartenenza non impediva un vissuto di dialogo e comunione, lo arricchiva. Inoltre per gettare i semi del dialogo è necessario scoprire che in ogni cultura c’è un germe di verità. Ecco che aprirsi al dialogo significa interrogarsi insieme sulla verità. Attenzione, questo non vuole dire dimenticare ciò che siamo, rinunciare alla nostra identità, questo più volte è stato sottolineato: “le nostre ossa appartengono a una cultura” e questo dato originario non si può cancellare, come d’altra parte non possiamo cancellare nessun altro uomo che incontriamo sulla nostra strada. Il suo esserci, il suo stare di fronte a noi, ci obbliga a riconoscere che la verità non si esaurisce in noi. La verità è qualcuno che ci viene incontro! Ma la ricerca sincera della verità non si impone: è appello alla libertà personale. Quando avviene questa scelta coraggiosa – perché la verità può essere scomoda o dolorosa – non possiamo non riconoscerla perché porta con sé accoglienza e apertura. Ma noi uomini di oggi ci sentiamo davvero in cammino? Desideriamo ardentemente cercare la verità o ci fa più comodo pensare di averla già trovata? Che bello riconoscere nell’altro, il nostro vicino, compagno, collega qualcuno con cui mettersi alla ricerca perché essa possa svelarsi nella sua pienezza. Beh, io ho scoperto che sulla Rupe di Pennabilli c’è un monastero che genera rapporti di amicizia e come dicono le monache: “è l’amicizia che incoraggia a intraprendere le imprese più ardite: nella vita dello Spirito e nel campo della ricerca e del pensiero”. Non temiamo, allora, di costruire rapporti d’amicizia veri e profondi, non temiamo ad aprire le nostre case, non temiamo chi è diverso da noi, non temiamo chi ci sta dinanzi perché egli è portatore di verità, verità che ci viene incontro perché possiamo riconoscerla ed accoglierla.
Lara Pierini
Articolo tratto dal Periodico Diocesano "Montefeltro" N°9 Ottobre 2016