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Racconto della mia Professione Solenne



Professione Solenne

Ci sono giorni che la sapienza della vita ha voluto dedicare interamente al sì, a pronunciare un sì. La Professione Solenne dei consigli evangelici è uno di questi giorni. Il 26 maggio Pennabilli è stata culla e testimone di questa piccola parola d'affermazione. Sono Francesca, monaca agostiniana del monastero della Rupe, proprio a me la vita ha regalato questo sì. Un sì generato e vissuto da tutte le mie sorelle, che in quel giorno ha preso la forma di un passaggio. Un passaggio avvenuto all'interno di una liturgia ricchissima, che ha accolto esperienze di vita profondamente diverse: tanti giovani e bambini, tanti padri, madri e adulti d'ogni età. Tante compagne di viaggio, come la Preside delle agostiniane, Madre Monica Gianfrancesco, suor Clara della comunità di Rossano, suor Vania e suor Eleonora delle Carmelitane di Sogliano.
Un'assemblea differente al suo interno. La Cattedrale ha ospitato tutti e ha respirato d'innumerevoli gesti di cura: prima, dopo e durante. Dall'attenzione per i tempi e le parole del rituale, alla preparazione dei canti, degli strumenti, dei fiori e di tante altre piccole cose.
Era nei nostri desideri che le persone presenti fossero protagoniste della liturgia, rendendola celebrazione e luogo di certa speranza, sapendo che proprio nella speranza prendono vita energie nuove. Ma cos'ho  dichiarato il 26 maggio? A cos'ho risposto? Ho detto sì a quello che mi sta mantenendo in vita da sempre, anche nei giorni in cui non lo riconosco: l'amore di Dio. Ho detto sì al desiderio di Agostino di "vivere nella stessa casa… volti verso Dio", accogliendo la vita raccolta e accolta nei Vangeli. È nella vicenda di Gesù, infatti, che scorgiamo un modo di stare al mondo povero, casto e obbediente, dal quale scaturiscono - come da sorgente - i nostri voti. "Cammina sulle orme di Cristo uomo e arriverai a Dio".
La scommessa di vivere un'esistenza spalancata è messa nelle mani di tutti i credenti, senza esclusi. Il bello è che la proposta raggiunge non solo chi è già capace di rimanere aperto, ma soprattutto chi vive nell'impressione (motivata) di non riuscire a esserlo. La mia vocazione nasce in questa fessura, dentro a una spinta che mi sollecitava a vedere cosa nascondesse "l'altra parte". Provare. La chiesa offre ai suoi figli questa strada, resa unica e speciale da ogni vita che la percorre. Sì, perché essa è attraversata da un'infinità di storie: le nostre e quelle di chi ci ha preceduto. Un mare di bellezza, gioie, delusioni, fatiche, coraggiose scelte…un mare di senso. Mi è facile dire che il sì, pronunciato davanti alla chiesa e alla presenza sempre amica del nostro vescovo Andrea Turazzi, non avrebbe avuto luogo se non fosse stato preceduto da una cordata lunghissima di sì, grazie alla quale oggi sono qui e sono così. Trentacinque anni di sì. Molti dei quali nascosti dentro a dei no, affinché cercassi meglio e più in profondità. La Provvidenza ha raccolto e raccoglie tutti gli istanti in cui qualcuno ha vissuto per me e con me.
Mi piace chiudere dicendo che il 26 maggio è un giorno che non finisce, perché chi accoglie un per sempre, vive dentro il desiderio di un inizio perenne.

Sr Francesca Serreli o.s.a.

 

Pubblicato sulla Rivista Diocesana "Montefeltro" N.7 Luglio-Agosto 2018 pag. 35

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